Cultura Gay

Omocausto: le vittime gay dell’olocausto dimenticato

Luigi - Gayly Planet |

Omocausto: le vittime gay dell’olocausto dimenticato

Breve storia dell’omocausto

Il 27 gennaio 1945 le forze alleate liberarono Auschwitz, un evento celebrato oggi e ogni anno come Giornata internazionale della memoria dell’Olocausto.

I crimini accaduti durante la Seconda guerra mondiale li conosciamo tutti e quelli perpetrati dal regime nazista del Terzo Reich e dai loro alleati sono stati fra i più crudeli della storia dell’umanità. Lo United States Holocaust Memorial Museum stima che durante il processo di “arianizzazione” furono circa 15-17 milioni le persone che persero la vita fra il 1933 e il 1945.

Omosessualità: colpevoli di essere deboli

Dopo aver preso il potere nel 1933, i nazisti iniziarono a perseguitare tutte le minoranze compresi gli omosessuali come parte della loro crociata morale per purificare la Germania dal punto di vista razziale e culturale. 

Questa persecuzione andava dallo scioglimento delle organizzazioni omosessuali all’internamento di migliaia di individui nei campi di concentramento. Gli uomini gay, in particolare, sono stati oggetto di molestie, arresti, incarcerazioni e anche castrazioni. Agli occhi dei nazisti, i gay erano uomini deboli, inadatti a essere soldati, incapaci di generare figli e quindi di non contribuire alla lotta razziale per il dominio ariano.

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Il regime nazista arrestò, durante gli anni della sua vita, oltre 100mila persone che vivevano (o molto spesso che erano state accusate di vivere) oltre i confini “accettabili” di sessualità e genere. Fra queste persone rientravano uomini gay, donne trans mtof (“male to female” = da uomo a donna) e bisessuali. 

Tra gli internati secondo il Paragrafo 175, circa 50mila furono condannati e tra 10mila e 15mila furono inviati nei campi di concentramento. Ancora oggi non conosciamo il numero esatto delle persone morte, ma le stime riportano che almeno il 60% di coloro che erano nei campi di concentramento identificati come omosessuali siano morti. 

I simboli della vergogna

Ogni minoranza veniva contrassegnata con un simbolo, una stella di David gialla per gli ebrei, un triangolo marrone per i rom, un triangolo viola per i Testimoni di Geova, un triangolo nero per gli asociali (nel quale rientravano anche le lesbiche, i trans ftom – “female to male” cioè da donna a uomo – e le donne bisessuali), un triangolo blu per gli emigrati antinazisti, uno rosso per i dissidenti politici e infine il rosa per gli omosessuali.

Ogni triangolo o stella assegnata ai prigionieri corrispondeva a diversi trattamenti, tutti brutali. Il trattamento riservato agli omosessuali non concedeva nessuno sconto, anzi. Secondo la politica dello “sterminio attraverso il lavoro” i prigionieri erano costretti a lavorare fino alla morte o in alcuni casi diventare oggetto di un tiro al bersaglio da parte dei soldati delle SS che sparavano dritti al cuore puntando sul triangolo rosa. Altri ancora furono vere e proprie cavie per gli esperimenti dei medici nazisti interessati a trovare una “cura” per l’omosessualità.

Oggi il triangolo rosa ha tutto un altro significato, la comunità LGBTQ+ ha completamente ribaltato il suo scopo facendolo diventare un simbolo di forza e lotta. 

Omosessuali e liberazione: Due volte vittime

Quando le forze alleate entrarono nei campi di concentramento per le persone sopravvissute significò un graduale ritorno alle proprie libertà e per quanto difficile alla propria vita.

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Per molti prigionieri con triangolo rosa però la liberazione tardò ad arrivare. I sopravvissuti gay infatti non furono riconosciuti come vittime della persecuzione nazista per decenni, non potevano beneficiare di riparazioni o altri aiuti governativi.

A questo bisogna aggiungere che, poiché l’omosessualità era ancora un crimine al momento della liberazione dei campi, un numero considerevole di persone gay furono portate direttamente da un campo di concentramento alle prigioni alleate per scontare la loro pena. 

Le testimonianze dei sopravvissuti: la storia di Friedrich-Paul

Le testimonianze di questa storia sono davvero tante e sul tema ci sono tantissimi volumi in commercio che meritano sicuramente una lettura. Fra i tanti segnaliamo Gli uomini con il triangolo rosa e la graphic novel In Italia sono tutti maschi, per comprendere il trattamento degli omosessuali in Italia durante gli anni del fascismo.

Fra le storie che ci sono arrivate però vi vogliamo raccontare quella di Friedrich-Paul von Groszheim. Friedrich-Paul nacque a Lubecca, una città a vocazione commerciale nel nord della Germania. A 11 anni rimase orfano di padre che finì ucciso nella prima guerra mondiale e dopo la morte di sua madre, lui e sua sorella Ina furono cresciuti dalle da due anziane zie. 

Nel gennaio 1937 le SS arrestarono 230 uomini a Lubecca ai sensi del paragrafo 175 del codice penale rivisto dai nazisti, che metteva fuori legge l’omosessualità. Fra questi era presente anche Friedrich-Paul che fu incarcerato per 10 mesi. Nel 1938 fu nuovamente arrestato, umiliato e torturato. I nazisti alla fine lo scarcerarono solo a condizione di farsi castrare, e Friedrich-Paul acconsentì all’operazione.

Ma la sua storia non finì li, in quanto dopo essere stato definito come “fisicamente inadatto” per il servizio militare venne nuovamente arrestato nel 1943, questa volta per essere un monarchico sostenitore dell’ex Kaiser Guglielmo II. I nazisti mi hanno imprigionato come prigioniero politico nel campo di concentramento di Neuengamme a Lubecca dove rimase fino alla liberazione da parte degli Alleati.

Friedrich-Paul von Groszheim fu solo uno dei tantissimi omosessuali che nascosero la loro storia e che solo nel 1992 decisero di farla conoscere al mondo con il documentario We Were Marked with a Big A

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