Le origini del triangolo rosa vanno trovate nella storia dell’olocausto. Questo simbolo veniva utilizzato per identificare gli omosessuali all’interno dei campi di concentramento. Così come la stella di David serviva a identificare gli ebrei e diversi altri simboli servivano per identificare altre minoranze come testimoni di Geova, criminali o pedofili, gli uomini omosessuali, che inizialmente venivano marchiati con la lettera “A” (da Arschficker, letteralmente “prendinculo”), vennero raggruppati sotto il simbolo del triangolo.
Oggi questo simbolo viene utilizzato in modo positivo, soprattutto durante manifestazioni e i Pride, oltre che per i monumenti commemorativi dell’omocausto, ma come è diventato un così forte simbolo di protesta?
La storia del triangolo rosa
L’omosessualità fu resa illegale in Germania nel 1871 ma fino al 1933 la legge venne raramente utilizzata. Nel 1933, durante la notte dei “lunghi coltelli” la Germania nazista cominciò a farla rispettare arrestando, imprigionando e mandando nei campi di concentramento uomini gay trovati su territorio tedesco.
Con un triangolo rosa cucito sul petto, i prigionieri gay erano quelli che rischiavano maggiormente perché non ricevevano protezione nemmeno da parte degli altri prigionieri. Si stima che in tutto il periodo nazista almeno 100.000 uomini furono arrestati e 50.000 ufficialmente accusati di sodomia. Un numero tra i 5.000 e i 15.000 uomini furono inviati nei campi di concentramento e solo una percentuale più bassa del 40% sopravvisse ai campi. Le pene erano svariate, ovviamente la morte era la peggiore, ma molti uomini furono utilizzati come cavie per testare terapie riparative.
Essere gay dopo la guerra
Dopo la guerra la legge contro la sodomia rimase in vigore nelle due Germanie e per questo motivo la storia dell’omocausto fu lentamente cancellata fino a quando i sopravvissuti cominciarono a parlarne riportandola all’attenzione pubblica. Libri come “Gli uomini con il triangolo rosa” di Heinz Heger” o lo spettacolo teatrale “Bent” di Martin Sherman aiutarono a rendere nuovamente pubblico l’omocausto fino a quando la legge contro la sodomia fu abolita. Anche se la storia della persecuzione degli uomini gay ormai era sotto gli occhi di tutti, solo nel 2002 il governo tedesco fece delle pubbliche scuse mentre l’Unione Europea scrisse per la prima volta dell’omocausto in un documento pubblico creato per ricordare i 60 anni dalla liberazione di Auschwitz.
Il triangolo rosa negli anni ’70
Fu negli anni ’70 negli Stati Uniti che il triangolo rosa cominciò a essere utilizzato come simbolo di protesta. Inizialmente criticato da molti, ritenendo l’utilizzo del simbolo offensivo nei confronti di chi era morto nei campi di concentramento, fu negli anni ’90 che il simbolo divenne ufficialmente utilizzato da tutta la comunità LGBT.
L’ondata di morti causata dall’AIDS e la mancanza di reazioni da parte dei governi fece crescere l’idea che un’omofobia istituzionale potesse ricreare un parallelo con l’omocausto. Diversi esponenti pubblici, specialmente negli Stati Uniti, parlavano di AIDS come di un dono e di un virus che finalmente avrebbe fatto sparire i gay. Forti furono le parole del giornalista William F. Buckley che scrisse: “Tutte le persone infette da AIDS dovebbero essere tatuate sul braccio per proteggere chiunque utilizzi aghi, oltre che essere tatuati sull’ano per prevenire che altri omosessuali possano infettarsi”.
Per tutti questi motivi nel 1987 l’associazione ACT UP (AIDS Coalition to unleash power) scelse di usare un triangolo rosa rovesciato come logo, aggiungendolo allo slogan “Silenzio = Morte” (Silence = Death).
Il triangolo rosa come simbolo di resistenza
Con l’inasprimento del dibattito sull’AIDS come virus per punire i gay, aumentò l’utilizzo del triangolo rosa come simbolo di resistenza. Keith Haring lo utilizzò spesso in tantissimi suoi lavori, ed è stato usato per creare monumenti in giro per il mondo per ricordare le vittime dell’omocausto.
Utilizzare il triangolo rosa serve a ricordare la storia delle persecuzioni passate e di quelle che potranno esserci in futuro, e serve a non cancellare dalla memoria di nessuno le morti che ci sono state nel periodo nazista e le vittime dell’odio. Come scriveva nei suoi dipinti Haring: l’ignoranza è paura, e il silenzio è solo morte.
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- Dall’Orto, Giovanni (Autore)
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